mercoledì 30 novembre 2011

L'ultimo azzardo

Non c’è niente da fare, nella vicenda politica del nostro Sindaco le parole sono come boomerang: lanciate, tornano sempre indietro.
Vi ricordate quanto ebbe a dire in una famosa intervista al Giornale di Chiari a proposito del Polo della Cultura?  “Abbiamo offerto a Chiari il più importante e suggestivo contenitore culturale degli ultimi 50 anni”. Quanto suggestivo e importante fosse quel contenitore l’abbiamo visto tutti quanti.
E sulla stazione che avrebbe dovuto diventare un salotto dove prendere un aperitivo in attesa del treno? Il salotto non si è mai visto e il degrado ha raggiunto livelli tali che il terzo binario è diventato una latrina a cielo aperto e alla sala d’aspetto hanno divelto e portato via persino la porta d’ingresso.
Il Sindaco di Chiari
Sen. Sandro Mazzatorta
E vogliamo parlare dei lavoratori della NK?  A sentire il Sindaco i partiti dell’opposizione erano solo buoni a rompere i co....ni con il Polo Logistico, mentre era chiaro che esso avrebbe rappresentato un’opportunità di lavoro  per i lavoratori NK.  I lavoratori  sono ancora lì che aspettano.
Oggi è la volta dell’addizionale Irpef. In un infuocato comizio del maggio 2009 (vedi video) il nostro sindaco affermava che quella era un’imposta subdola che pesava pesantemente sui bilanci delle famiglie. “L’addizionale Irpef incide a Palazzolo per 180 euro a contribuente. Provate a pensare cosa vuol dire questo in una famiglia, in un momento di grave congiuntura economica”  e ancora  “se avessi applicato l’addizionale Irpef in 5 anni avrei portato a casa 5 milioni di euro. E vi avrei tolto i parcometri, vi avrei detto ‘ragazzi tutto gratis’ , intanto vi infilo la mano e vi sfilo 5 milioni di euro. Noi non siamo così, non facciamo queste politiche demagogiche”.
Evidentemente le opinioni del sindaco in materia sono radicalmente cambiate e oggi è pronto a infilare la mano per sfilarci 1 milione di euro l’anno, proprio nel momento in cui la crisi si fa più pesante e gli italiani sono chiamati a raddrizzare la baracca Italia “sbaraccata” dal duo meraviglia Berlusconi/Bossi.  
Insomma dopo aver venduto tutto quanto era vendibile del patrimonio comunale (ormai siamo ridotti a fare gli accattoni, vendendo piccoli fazzoletti di terra), ed esaurita “la pioggia di soldi” caduta da Stato, Regione e Provincia, la Giunta Mazzatorta prova a fare i conti col suo operato e si accorge che è fallimentare. Per risollevare la situazione occorrono soldi, tanti soldi. Allora si tenta l’ultimo azzardo, l’addizionale Irpef, nella speranza forse che la colpa ricada sull’inflessibile Monti o sull’Europa che richiede provvedimenti “lacrime e sangue” o sul sempre odiato euro.

venerdì 18 novembre 2011

Il vero miracolo italiano

Nel famoso discorso della “discesa in campo Berlusconi aveva fatto intravedere un sogno:
la copertina di Time
”Vi dico che è possibile realizzare insieme un grande sogno: quello di un'Italia più giusta, più generosa verso chi ha bisogno, più prospera e serena, più moderna ed efficiente, protagonista in Europa e nel mondo. Vi dico che possiamo, vi dico che dobbiamo costruire insieme per noi e per i nostri figli, un nuovo miracolo italiano.”
Certo è facile oggi comparare  le parole dette con le cose fatte. Di quei sogni di prosperità, di modernità, di efficienza, di giustizia, non è rimasto niente di niente e oggi ci troviamo un Paese ripiegato su se stesso e sull’orlo di un baratro finanziario, sociale e politico.
Eppurre, Berlusconi un miracolo è riuscito a farlo.
Nonostante il Paese sia in rovina, nonostante abbia utilizzato governo e parlamento solo per difendere i suoi interessi, nonostante la sua vita privata l’abbia reso uno zimbello planetario, rifuggito come la peste da tutte le cancellerie e gli uomini politici del mondo, Berlusconi riesce a mantenere quasi alterato il suo consenso. Ancora oggi un italiano su quattro crede in lui.
Com’è possibile che succeda un fatto del genere? Com’è possibile che si sia dovuto dimettere non per una rivolta popolare, non per una sfiducia del parlamento o del suo partito, ma semplicemente per il precipitare della situazione finanziaria? Com’è possibile che sia ancora in campo a dettare le sue condizioni a  Napolitano, a  Monti, a tutte le altre forze politiche?
Un altro uomo politico, al suo posto, sarebbe “già morto e sotterrato”, politicamente s’intende, da anni. Berlusconi invece no. Lui è sempre in pista, dimostrando così di essere riuscito a creare un articolato sistema di potere e di consenso che sarà molto difficile da abbattere.

mercoledì 2 novembre 2011

PD a corrente alternata


Ultimamente sembra che l’occupazione principale di molti rappresentanti del Partito Democratico sia quella di dividersi in correnti. Certo, la parola corrente non è mai usata, si preferisce parlare di componenti o centri di iniziative politiche e culturali, di fondazioni. Appare chiaro però che queste componenti, centri o fondazioni che siano, sono i modi attraverso cui il partito cerca di organizzarsi  in correnti. Lo capisce anche un bambino.
Qualcuno ne ha contate ben 17, numero che potrebbe far impallidire quello in cui era divisa la defunta Democrazia Cristiana.
Ora se tutto questo darsi da fare fosse indirizzato a rendere più forte e democratico il partito, forse non ci sarebbe molto da dire. Un grande partito è un monolito solo nei regimi autoritari e forse neanche in quelli. Diciamo che all’interno di un grande partito ci sono diverse sensibilità che è bene che si esprimano perchè costituiscono una ricchezza.
I problemi sorgono quando queste correnti nascono  dall’incapacità di avere un progetto unitario e condiviso. Perchè il problema di fondo che deve risolvere il PD è proprio questo: esiste un progetto unitario e condiviso a cui tutte le componenti fanno riferimento?
Sicuramente questo progetto non può essere l’antiberlusconismo, per il semplice motivo che venendo meno Berlusconi (prima o poi) verrebbe anche meno la necessità e l’interesse a stare insieme.
Sicuramente non può essere la gestione del potere, perchè questo sarebbe in contraddizione con l’esigenza per cui è nato il PD, cioè la necessità di avere un partito che rompa i vecchi schemi partitici del 20° secolo e affronti in modo completamente nuovo le sfide che si stanno aprendo. E queste sfide sono quelle che riguardano la terza rivoluzione industriale che è alle porte, riguardano un nuovo modo di comunicare, riguardano il rapporto fra partito e cittadini.
Rinchiudersi in ghetti all’interno dei quali sentirsi appagati e protetti, è il modo peggiore per affrontare queste sfide. Restare all’interno del proprio recinto, scrutando con fare torvo e minaccioso chi sta oltre la palizzata, aspettando il momento giusto per impallinarlo, non rappresenta ciò per cui milioni di persone hanno speso il loro tempo per costruire il PD, non solo attraverso le primarie, ma anche e soprattutto con un lavoro giornaliero e appassionato nei circoli e nei vari ambiti di partito.
Mi sembra che molto spesso si giudichino le persone non per quello che hanno da dire e possono fare, ma per come sono schierate in campo. E’ un modo miope di ragionare. La domanda da porre non è “dove ti collochi?” ma piuttosto “quali sono le tue idee, quali sono le tue proposte?”. Se si ragiona sui problemi, forse ci accorgeremo che non siamo poi così distanti. E in ogni caso, per le cose che ci dividono, si attua la sana regola della democrazia, dove la maggioranza fa valere la sua proposta e quella si porta avanti unitariamente, facendo salvo il diritto di critica all’interno del partito. 
Rompiamo gli steccati che sono ancora in piedi, abbandoniamo i nostri recinti e cerchiamo di guardare un po’ più lontano. Anche perchè il partito è esso stesso “parte” e non c’è certo bisogno di ulteriori frazionamenti. Le micro distinzioni per cui ogni giorno uno sente la necessità di creare un micro gruppo, non hanno ragione di essere.  Il Paese è andato allo sfascio per questa mania della distinzione ad ogni costo.
Oggi la tecnologia ci offre possibilità prima impensabili. Innanzitutto di comunicazione. E noi questa comunicazione la dobbiamo utilizzare non solo per affermare il nostro pensiero, ma anche per capire il pensiero degli altri.
Il PD può svolgere appieno la sua funzione se è capace di ascoltare. Ascoltare cosa hanno da dire i cittadini, per lo più giovani, che stanno sperimentando un nuovo modo di intendere la partecipazione.
Il fenomeno degli “indignados” è proprio questo. Una forma forse approssimativa, anarchica, poco organizzata di partecipare, ma capace di condizionare i governi in un momento difficile com’è quello che stiamo vivendo.
Attenzione però, perchè questi giovani sono indignati in particolare verso una politica sempre più autoreferenziale, una politica incapace di risolvere i veri nodi che sono alla base della crisi che sta vivendo oggi il mondo occidentale: eccessivo peso della finanza nel processo economico, forte disparità fra chi è ricco e chi è povero, riduzione della classe media sempre più spinta verso nuove forme di povertà, mancanza di lavoro e quindi di futuro per le giovani generazioni, e su scala più ampia, lo squilibrio inammissibile fra paesi ricchi e paesi poveri. Il vero scandalo dei nostri tempi è che ci sia un miliardo di persone che soffrono la fame mentre un terzo della popolazione mondiale spreca immani risorse.
Occorre non farsi  condizionare dagli schemi che hanno inchiodato la storia recente. E’ necessario considerare le buone proposte da qualunque parte esse arrivino. Abbiamo bisogno di buone pratiche e di buoni esempi. Ne ha bisogno questo Paese dilaniato e sfregiato dalla lunga stagione berlusconiana.  Il PD deve decidere se vuole essere protagonista del  prossimo cambiamento o accontentarsi di rimanere parte minoritaria e subalterna, destinata prima o poi a sparire.