giovedì 30 giugno 2016

Egolatria a 5 Stelle

 "Il desiderio è che da oggi tutti i cittadini siano coinvolti e partecipi nel progetto di cambiamento della città. Per questo motivo creeremo dei sistemi di partecipazione attiva alla vita pubblica, sia attraverso i nuovi strumenti digitali che attraverso il più classico dei modi, ovvero il colloquio personale. Motivo per cui io e la mia Giunta dedicheremo un giorno al mese a ricevere i cittadini che lo richiedono" (Chiara Appendino).


Chiara Appendino non dice nulla di nuovo. Il suo desiderio di vedere “tutti i cittadini coinvolti e partecipi nel progetto di cambiamento della città”, è il desiderio espresso da tutti i sindaci e amministratori di questo mondo all’inizio del loro mandato. Tutti animati dalla voglia di coinvolgere i cittadini nel loro progetto di cambiamento, tutti desiderosi di allargare la base partecipativa delle decisioni. Peccato che poi nella realtà dei fatti, di fronte alla complessità dei problemi, questa voglia viene meno e la partecipazione si riduce a cosa del tutto marginale. È avvenuto in passato, avverrà ancora in futuro.
Chiara Appendino Sindaco di Torino
Questo succede perché all’inizio di ogni esperienza amministrativa il potere è fragile, per cui è necessario avere l’appoggio dei cittadini o almeno di una parte di essi. Quando il potere si assesta allora il desiderio di partecipazione si riduce, tant’è che col passare del tempo emergono atteggiamenti di fastidio per le critiche ricevute. Il potere, grande e piccolo che sia, mal sopporta le critiche, specie quando queste arrivano dalla propria parte. Allora si parla di smarrimento dell’iniziale carica se non di tradimento. Il potere spesso intende la partecipazione come iniziativa a supporto. Infatti si preferiscono i supporter ai cittadini attivi.
Forme di partecipazione diretta dei cittadini sono state sperimentate un po’ ovunque, ma quasi sempre al fervore iniziale sono subentrati stanchezza, apatia e disinteresse. Il fatto non mi meraviglia. La politica è attività complessa e amministrare lo è ancora di più. Pensare di avere un’opinione pubblica in servizio permanente effettivo è fatto del tutto illusorio.
Partecipazione è conoscenza, è responsabilità, è confronto, è rispetto delle idee altrui. In giro io non vedo questo. Vedo anzi una protervia che inquieta, una innata incapacità al confronto, una violenza verbale inaudita.

Parlare di politica partecipativa quando le decisioni vengono prese in ambiti molto ristretti e divulgate attraverso un blog assunto come novella bibbia, è l’esatto contrario della partecipazione. Qui non si vogliono cittadini coscienti dei loro diritti e dei loro doveri, si vogliono piuttosto fanatici adoratori di un feticcio, ottusi replicanti di un verbo osceno, intolleranti fondamentalisti che riempiono delle loro volgari giaculatorie i nuovi templi dei social media. No, mi dispiace, ma in questo non ci trovo nulla di nuovo. È solo l’antico vizio che si ripropone in forme nuove. 

Quando ho visto Grillo affacciarsi alla finestra dell’albergo o quando qualcuno ha parlato di nuova marcia su Roma, mi son venuti i brividi. I tratti di un nuovo fascismo ci sono tutti. Le piazze reali dove una volta convenivano folle oceaniche per osannare il capo, sono state sostituite da piazze virtuali. Il balcone non c’è più, ma in cima al palazzo mediatico, affacciato allo screen invece che alla finestra, il capo è uno solo. Il manganello è stato sostituito dalla parola usata come clava. Il “vaffa” è il grido di guerra dei nuovi rivoluzionari. L’avversario in quanto tale va sbeffeggiato, irriso, distrutto. La volgarità di espressione è il tratto distintivo di questo movimento nato sull’onda di un’antipolitica ottusa e irrazionale, alimentato dai vizi di una politica che fatica a emendarsi, a trovare in sé il senso di una nuova moralità. Dire “noi siamo onesti” non significa niente. Governate prima, affrontate giornalmente i problemi che il governare comporta e poi ne parliamo. Il povero Pizzarotti, persona che io stimo, è stato messo in croce. A governare si sbaglia e anche se sei il sindaco più irreprensibile, non è detto che non ti succeda di ricevere un avviso di garanzia per un’indagine avviata dalla magistratura. Se “bufala” è un termine infelice per definire questo desiderio di partecipazione da parte dei politici all'inizio del loro mandato amministrativo, nel caso specifico dei 5 Stelle forse è più corretto usare il termine “imbroglio”.

venerdì 24 giugno 2016

Europa matrigna?


Quello che segue è un articolo che avevo scritto nel settembre 2008, appena scoppiata la crisi dei mutui sub-prime:

"Avete mai pensato come la nostra esistenza sia spesso soggetta a un senso di assoluta precarietà?
Partiamo per le vacanze e al nostro ritorno non troviamo più la casa: andata in fumo per un corto circuito. Prima eravamo pieni di fiducia nell’avvenire, oggi siamo piombati in una situazione di sconforto e depressione.
Guardate cosa è capitato in questi ultimi giorni. Ci siamo distratti un momento e in quella frazione di secondo il mondo é cambiatoIrrimediabilmente. Non un piccolo cambiamento che non disturba i nostri sonni, ma un cambiamento epocale, di quelli che accadono una volta in un secolo.
La crisi scatenata dai cosiddetti mutui sub-prime e che ha visto coinvolte in un gigantesco crack colossi d’acciaio quali Lehman Brothers, Merryll Linch, Aig, Freddie Mac e Fannie Mae, non è di quelle che possiamo liquidare con una alzata di spalle. Si tratta di cose americane, di fatti loro. Hanno fatto il guaio e allora che se la sbrighino. No, quei fatti ci interessano da vicino eccome. E se non ci hanno messo abbastanza in allarme le cadute rovinose delle borse mondiali di questi giorni, ci penseranno i fatti, nei mesi e negli anni avvenire, a ricordarci che qui e ora un mondo è finito.
Il Governo americano, per correre ai ripari e per evitare un disastroso effetto domino che non avrebbe risparmiato niente e nessuno, ha messo sul piatto qualcosa come 700 miliardi di dollari. Una cifra tanto grande da non poterla neppure immaginare. Non soldi per investimenti, opere pubbliche, sostegno alle imprese o ai lavoratori. No, soldi che serviranno a comprare debiti. Cioè quella montagna di carta straccia creata dai guru della finanza e di cui sono piene le banche d’America e di tutto il mondo. Un marciume che intossica i bilanci e fa perdere quel bene essenziale che è la fiducia, senza il quale non c’è economia che possa tenere.
Il nostro querulo ministro dell’Economia Giulio Tremonti, ha avuto la premura di rassicurarci dicendo che le crisi ci sono, si superano e i paesi manufatturieri come l’Italia ne possono uscire più forti. Io non sarei tanto sicuro sulle nostre “magnifiche sorti e progressive”. Se la crisi diventerà più dura, può rendere molto oscuro il nostro orizzonte.
In inglese “blue” vuol dire blu, ma anche depresso. Ecco, gli americani all’inizio di questo nuovo millennio sembrano proprio “blue”e noi con loro".

Quando si parla di Europa matrigna forse ci si dimentica cosa è accaduto in questi anni.
La crisi che ha interessato i mercati finanziari nel 2008 è stata peggiore di quella vissuta nel 1929. Allora, milioni di persone sono passati da una situazione di sostanziale benessere a una situazione di grave indigenza. I film di allora, epici quelli di Chaplin, sono lì a testimoniarlo.

Se in questi anni non ci siamo ridotti a quei livelli è perché è intervenuto un cordone sanitario che bene o male ha limitato gli effetti della crisi. Non è stato sufficiente, si poteva fare di più? Tutto quello che volete. Non ci fosse stata l'Europa, le singole Nazioni sarebbero state dei piccoli vascelli in mezzo a una tempesta perfetta.
Noi in quel mare agitato ci siamo ancora. Qualcuno pensa che sganciandosi dalla formazione ha maggiori possibilità di sviluppo. La Gran Bretagna da questo punto di vista è la più attrezzata, ma se l'effetto della Brexit sarà la dissoluzione dello Stato, con Scozia e Irlanda del nord che se ne vanno, allora l'Inghilterra e il Galles da soli rischiano grosso. Sicuramente non è auspicabile, per il loro stesso interesse, che l'esempio venga seguito da altri.

giovedì 23 giugno 2016

Il peggiore

Massimo D’Alema, quando i suoi molteplici impegni glielo consentono, rilascia delle  memorabili interviste con le quali, come si diceva una volta, detta la linea. Nell’ultima, rilasciata ad Aldo Cazzullo del Corriere della Sera, imputa a Renzi di aver rottamato il PD.
Singolare che ciò venga detto da un personaggio universalmente conosciuto come “il risolutore”. Nel corso della sua lunga carriera infatti, ha fatto fuori in successione Occhetto, Prodi, Veltroni e qualche problema l’ha pure creato a Fassino e a Bersani. 
Singolare è non proferire una pur minima parola di autocritica. Se il PD è messo male certo la massima responsabilità è di Renzi che ne è il segretario, ma non si può certo dire che la minoranza non abbia le sue colpe. 

Quando giornalmente si segano le gambe del tavolo o si afferma che Renzi è un usurpatore, un alieno caduto dal cielo, un accidente, poi non si può pretendere che ci sia entusiasmo da parte dell’elettorato PD posto a sinistra.
Dire che il partito è stato rottamato da Renzi significa dimenticare cosa era il partito durante la segreteria Bersani: la vittoria “mutilata”, la rumorosa protesta della base quando a successore di Napolitano si scelse Marini, l’impallinamento di Prodi, la rielezione di Napolitano perché non si riusciva a trovare una persona che mettesse d’accordo tutti, il PD praticamente commissariato, la vergogna dell’incontro con Grillo in diretta streaming. Insomma un partito allo stremo.
E oggi si viene a dire che Renzi ha rottamato il partito? Il partito è stato rottamato da una sinistra autolesionista, la sinistra sempre perdente dei fuoriusciti Civati, Cofferati, Fassina, Mineo, D’Attorre, la sinistra di chi la lotta, feroce e sorda, l’ha portata all’interno del partito senza esclusione di colpi.
Se Renzi ha avuto praterie davanti, se alle primarie è stato votato da tanti che prima avevano votato Bersani, è perché la sinistra ha fallito, si è auto eliminata.
Oggi D’Alema si pone alla testa di coloro che si propongono di far fuori il Segretario. Non dall’esterno con la fondazione un nuovo partito, anche se ciò non è escluso, ma dall’interno con un’opposizione brutale.

La linea è chiara. Al referendum vincono i NO, Renzi come promesso si dimette da Presidente del Consiglio e da Segretario, il PD viene momentaneamente retto da un organo collegiale, la solita oligarchia di partito, si forma un nuovo governo perché  “servirebbe una nuova legge elettorale”, si va al voto. Nel frattempo il PD indice un nuovo congresso, si elegge un nuovo segretario, si vota una linea politica che dovrebbe avere come obiettivo la ricostituzione dell’Ulivo, un novello morto che parla, la sinistra finalmente si riappropria di una cosa che gli appartiene di diritto. La restaurazione è completata.
Peccato che questo percorso sia irto di ostacoli. Renzi si può anche dimettere da Presidente del Consiglio e da Segretario, ma nulla è possibile in questo parlamento senza l’accordo con il PD. E il gruppo parlamentare del PD, benché votato sotto Bersani, è in maggioranza renziano.
Pensa D’Alema che una volta fatto fuori Renzi, la strada gli sia spianata per realizzare i soliti inciuci tipici della prima Repubblica?
Il rischio è di trovarsi di fronte a macerie, un paesaggio desolato dove avranno la meglio le forze oltranziste del populismo e del massimalismo. Forse a quel punto D’Alema e compagni potranno fare la loro battaglia di opposizione contenti di valere  come il due di coppe quando la briscola è a bastoni.