"Il desiderio è che da oggi tutti i cittadini siano coinvolti e partecipi nel progetto di cambiamento della città. Per questo motivo creeremo dei sistemi di partecipazione attiva alla vita pubblica, sia attraverso i nuovi strumenti digitali che attraverso il più classico dei modi, ovvero il colloquio personale. Motivo per cui io e la mia Giunta dedicheremo un giorno al mese a ricevere i cittadini che lo richiedono" (Chiara Appendino).
Chiara Appendino non dice nulla di nuovo. Il suo desiderio di vedere “tutti i cittadini coinvolti e partecipi nel progetto di cambiamento della città”, è il desiderio espresso da tutti i sindaci e amministratori di questo mondo all’inizio del loro mandato. Tutti animati dalla voglia di coinvolgere i cittadini nel loro progetto di cambiamento, tutti desiderosi di allargare la base partecipativa delle decisioni. Peccato che poi nella realtà dei fatti, di fronte alla complessità dei problemi, questa voglia viene meno e la partecipazione si riduce a cosa del tutto marginale. È avvenuto in passato, avverrà ancora in futuro.
Chiara Appendino Sindaco di Torino |
Questo succede perché all’inizio di ogni esperienza amministrativa il potere è fragile, per cui è necessario avere l’appoggio dei cittadini o almeno di una parte di essi. Quando il potere si assesta allora il desiderio di partecipazione si riduce, tant’è che col passare del tempo emergono atteggiamenti di fastidio per le critiche ricevute. Il potere, grande e piccolo che sia, mal sopporta le critiche, specie quando queste arrivano dalla propria parte. Allora si parla di smarrimento dell’iniziale carica se non di tradimento. Il potere spesso intende la partecipazione come iniziativa a supporto. Infatti si preferiscono i supporter ai cittadini attivi.
Forme di partecipazione diretta dei cittadini sono state sperimentate un po’ ovunque, ma quasi sempre al fervore iniziale sono subentrati stanchezza, apatia e disinteresse. Il fatto non mi meraviglia. La politica è attività complessa e amministrare lo è ancora di più. Pensare di avere un’opinione pubblica in servizio permanente effettivo è fatto del tutto illusorio.
Partecipazione è conoscenza, è responsabilità, è confronto, è rispetto delle idee altrui. In giro io non vedo questo. Vedo anzi una protervia che inquieta, una innata incapacità al confronto, una violenza verbale inaudita.
Parlare di politica partecipativa quando le decisioni vengono prese in ambiti molto ristretti e divulgate attraverso un blog assunto come novella bibbia, è l’esatto contrario della partecipazione. Qui non si vogliono cittadini coscienti dei loro diritti e dei loro doveri, si vogliono piuttosto fanatici adoratori di un feticcio, ottusi replicanti di un verbo osceno, intolleranti fondamentalisti che riempiono delle loro volgari giaculatorie i nuovi templi dei social media. No, mi dispiace, ma in questo non ci trovo nulla di nuovo. È solo l’antico vizio che si ripropone in forme nuove.
Quando ho visto Grillo affacciarsi alla finestra dell’albergo o quando qualcuno ha parlato di nuova marcia su Roma, mi son venuti i brividi. I tratti di un nuovo fascismo ci sono tutti. Le piazze reali dove una volta convenivano folle oceaniche per osannare il capo, sono state sostituite da piazze virtuali. Il balcone non c’è più, ma in cima al palazzo mediatico, affacciato allo screen invece che alla finestra, il capo è uno solo. Il manganello è stato sostituito dalla parola usata come clava. Il “vaffa” è il grido di guerra dei nuovi rivoluzionari. L’avversario in quanto tale va sbeffeggiato, irriso, distrutto. La volgarità di espressione è il tratto distintivo di questo movimento nato sull’onda di un’antipolitica ottusa e irrazionale, alimentato dai vizi di una politica che fatica a emendarsi, a trovare in sé il senso di una nuova moralità. Dire “noi siamo onesti” non significa niente. Governate prima, affrontate giornalmente i problemi che il governare comporta e poi ne parliamo. Il povero Pizzarotti, persona che io stimo, è stato messo in croce. A governare si sbaglia e anche se sei il sindaco più irreprensibile, non è detto che non ti succeda di ricevere un avviso di garanzia per un’indagine avviata dalla magistratura. Se “bufala” è un termine infelice per definire questo desiderio di partecipazione da parte dei politici all'inizio del loro mandato amministrativo, nel caso specifico dei 5 Stelle forse è più corretto usare il termine “imbroglio”.