martedì 21 aprile 2015

25 aprile di lutto

Quest'anno si farà fatica a scendere in piazza a fare festa. Le bandiere, la banda, i cori, i mille colori che animano ogni anno il 25 aprile, sembrano quasi fuori luogo in questo presente di morte. Quei 700 corpi sepolti in un oceano di indifferenza ci ammoniscono. Anche loro cercavano “liberazione”, liberazione dalla guerra, dalla fame, dall’indigenza, ma il loro percorso è stato tragicamente interrotto, le loro esistenze spezzate.


Se “la libertà non e’ una proprietà individuale, ma un bene fondamentale di tutti”, quel “tutti” non può essere circoscritto alla nostra terra e al nostro popolo. Finché ci saranno guerre, fame, ingiustizie, finché ci sarà poca gente che ha molto e una sterminata moltitudine che ha poco, quel termine così bello - “libertà”  - perde gran parte del suo valore. La libertà non può coniugarsi con l’ingiustizia e noi, tutti noi, nessuno escluso, siamo parte di quella ingiustizia.
E’ veramente raccapricciante sentire alcuni logorroici politici parlare di blocco navale e di affondamento di barconi, è straniante leggere alcuni corsivi che imputano questo dramma al buonismo della sinistra. Mettere il proprio tornaconto elettorale al di sopra della vita di tanti giovani, donne, e bambini è veramente rivoltante.
In tutto il mondo, milioni di persone cercano rifugio in posti diversi dal loro paese per fuggire a guerre, faide e atti di terrore, frutti marci di anni di colonialismo cinico e rapace, spesso conseguenza di scelte politiche avventate e poco lungimiranti.

La nostra reazione di fronte a tutto questo è di paura. Paura di dover rinunciare a una piccola parte delle nostre comodità, paura di accogliere fra le nostre comunità persone che arrivano da lidi lontani, diversi per razza e per cultura, ma come noi essere umani alla ricerca di un po’ di felicità in questo mondo. Temiamo forse di dover prendere atto che al di fuori delle nostre case lucenti, dei nostri paesi puliti, dei nostri Stati ordinati, esiste una realtà ben diversa.
I profughi nel mondo sono un numero sterminato. Alcuni Stati ne accolgono centinaia di migliaia, altri milioni. Noi, all’interno delle nostre mura, tremiamo all’idea di doverne accogliere qualche decina. Alziamo barricate, lanciamo ammonimenti, firmiamo appelli, salvo poi la domenica andare in chiesa a batterci il petto.
Questo 25 aprile vorrei non dover ascoltare musica e cori e canti. Per commemorare i morti, per pensare alle immani tragedie che attraversano i nostri tempi, per i disperati del mondo, vorrei sentire solo la triste nota del silenzio.
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