Ho letto con attenzione il ricorso al Tar presentato da Eleca e sono rimasto estasiato dai livelli cui può arrivare la prosa forense.
Al di là comunque dei termini eruditi (note prodromiche ne è solo un esempio), il ricorso è stato presentato per dichiarare l’inefficacia” della nota con la quale il Comune ha rigettato in data 09.07.2010 la domanda di revisione del Piano Economico Finanziario (P.E.F.) e ha disposto unilateralmente la risoluzione del contratto.
Esso dice cose che possono precisare alcuni dei punti ancora poco chiari di tutta la vicenda.
Innanzitutto il perché Eleca abbia deciso di rinunciare a questa commessa, nonostante i larghi benefici offerti dal Sindaco e dalla sua Giunta. E’ uno dei capi di difesa di Mazzatorta. Se Eleca ha rinunciato, significa che non è vero quanto sempre affermato dai rappresentati del Pd. Cioè non è vero che ad Eleca sono stati concessi larghi benefici, è vero semmai l‘incontrario.
Ora a parte che la Convenzione è lì a testimoniare che alla controparte i larghi benefici sono stati concessi al di là di ogni ragionevole decenza, il ricorso dice una cosa che a me pare illuminante. In esso infatti è affermato che a seguito della presentazione dei ricorsi giudiziali da parte dei proprietari confinanti, le banche hanno ritenuto che quell’investimento fosse a rischio e pertanto non hanno aderito a una ulteriore richiesta di allargamento delle linee di credito.
Esiste un rapporto di causa-effetto fra ricorsi giudiziali e atteggiamento più intransigente delle banche nei confronti di Eleca? Sarei più propenso ad affermare che esistono più cause. Certamente i ricorsi dei proprietari confinanti devono aver allarmato le banche, ma deve averle preoccupate anche la spinosa questione della proprietà di Eleca Chiari Srl passata di fatto nelle mani di una società anonima svizzera, questione ormai divenuta di pubblico dominio. La faccenda più importante riguardava però gli aspetti finanziari del progetto. Per portare avanti il piano occorrevano ingenti capitali. I maggiori costi derivanti dalle prescrizioni dei Vigili del Fuoco richiedevano ulteriori finanziamenti che le banche non erano più disposte a concedere. A crisi di sistema ormai scoppiata, risultava difficile credere in un ritorno abbastanza rapido del capitale investito.
Il traccheggiamento di Eleca, da marzo 2009 a dicembre dello stesso anno, ha avuto il solo scopo di far trascorrere i due anni necessari per chiedere la revisione del Piano Economico Finanziario, così come previsto dalla Convenzione. Insomma, per iniziare i lavori, la società chiedeva altri 2 milioni di euro (esattamente 1 milione e 935 mila euro). L’Amministrazione Comunale, dopo aver deliberato in un primo momento di accordare ad Eleca altri 960 mila euro, successivamente ritorna sui suoi passi.
Quale è il motivo di questo ripensamento? La pressione dell’opinione pubblica che forse non avrebbe capito perché per un auditorium del valore di 1 milioni e 300 mila euro si andava a spendere la bella somma di 1 milione e 960 mila euro più il resto? Oppure la presa d’atto del definitivo fallimento del progetto?
Sta di fatto che a gennaio 2010 le due parti si incontrano e decidono di abbandonare il progetto seguendo la strada di un accordo bonario.
La strada però risulta subito accidentata, perché grande è la distanza fra l’importo richiesto da Eleca e quello riconosciuto dal Comune.
Si è ormai allo stallo e la partita viene giocata a botte di reciproche intimazioni e recriminazioni, senza riuscire a trovare un’ apprezzabile soluzione.
L’Amministrazione Comunale con due lettere inviate in aprile e maggio 2010 chiede inspiegabilmente a Eleca di riprendere i lavori. Ciò avviene subito dopo che gli Uffici Comunali entrano misteriosamente in possesso dell’originale della garanzia fideiussoria prestata da Eleca. Infine il 9 luglio 2010, viene rigettata la domanda di revisione del PEF e si procede alla risoluzione del contratto. A questa iniziativa segue in agosto l’occupazione coatta del cantiere che decreta il definitivo affondamento del progetto.
Il ricorso al Tar da parte di Eleca ha un chiaro intento: quello di far dichiarare l’inefficacia della nota del 9.7.2010 del Comune e quindi l’improponibilità dell’escussione presso la società assicuratrice Helvetia della garanzia di 1 milione e mezzo di euro. Non siamo ancora al processo civile, ma il ricorso ha lo stesso un valore rilevante.
Se il Tar dovesse dichiarare legittima la posizione dell‘Amministrazione Comunale, la stessa potrebbe chiedere il pagamento della fideiussione con conseguente grave pregiudizio per Eleca, chiamata a corrispondere a Helvetia la somma richiesta dal Comune. Eleca a questo punto rischierebbe il dissesto finanziario e quindi il fallimento.
Alcune domande sono d’obbligo:
- perché il Comune, subito dopo l’apertura del cantiere, non ha preteso l’avvio immediato dei lavori?
- Perché, di fronte all’atteggiamento attendista di Eleca, non ha subito messo in mora la società?
- Perché ha avviato un procedimento di accordo bonario con Eleca per poi disattenderlo senza una precisa ragione?
- Eleca accusa il Comune di aver fatto “affermazioni gravemente mendaci” e che è stato prodotto un presunto verbale della riunione del 29.01.2010 per Eleca mai sottoscritto dai suoi rappresentati e privo di numero di protocollo. E’ vero quanto afferma Eleca?
- Perché Eleca, a fronte della inadempienza del Comune di provvedere al riequilibrio dei costi già approvati (per 960 mila euro), non ha provveduto, subito dopo il dicembre 2009, a impugnare di fronte al Tar la Delibera di Giunta 2/2009?
- Perché Eleca usa la frase “confidando nella buona fede del Comune…”, locuzione del tutto impropria nel mondo degli affari?
- Perché Eleca ha consegnato al Comune l’originale della fideiussione proprio nel momento in cui si stava per aprire il contenzioso? Lo ha fatto nella convinzione che quella garanzia non sarebbe mai stata attivata in quanto c’era stata promessa di pervenire a un accordo bonario?
Come si vede, più si va avanti più questa vicenda apre nuovi scenari del tutto imprevedibili. E siamo solo all’inizio, anzi, ai prodromi.