"L'urlo" di Edvard Munch |
La sera che i cani abbaiavano, io e mia moglie siamo usciti per andare al Cineforum. A nostro rischio però, perché come tutti sanno Chiari la sera è piena di tagliagole pronti a tutto. Le strade erano deserte. Le uniche persone incontrate sono state un ragazzone nero con uno zaino sulle spalle, sicuramente pieno di refurtiva e un uomo che era appena uscito da uno dei pochi bar aperti e che sicuramente si stava preparando a mettere a segno un colpo in qualche abitazione.
Il film, “Freedom writers” parla di “paura” e di “cambiamento”. È la storia di una insegnante che si trova a svolgere il proprio compito in una scuola problematica della California. Animata da grandi ideali, si scontra subito con una situazione insostenibile, dove i ragazzi sono divisi per gruppi etnici e sono tutti l’un contro l’altro armati. Nel vero senso della parola però, tant’è che molti di loro hanno perso amici nelle risse scoppiate per la supremazia di un gruppo sull’altro.
La paura che attanaglia questi quindicenni è quella di soccombere, quella di non farcela ad arrivare a 18 anni, quella di non riuscire a vivere una vita normale. Questa paura come reazione scatena aggressività e quindi, incapacità di avere rapporti normali con gli altri. In questo contesto la scuola, più che essere il luogo dove stemperare queste tensioni, è il vero e proprio campo di battaglia.
L’impresa della povera insegnante sembra disperata, anche perché i suoi colleghi sono praticamente insensibili e disinteressati alle vicende dei ragazzi, considerati come semplici teppisti.
Come fare a superare questa situazione di incomunicabilità? Il primo passo è quello del riconoscimento delle loro individualità. Bellissima è la scena in cui i ragazzi, divisi in due gruppi, sono chiamati a rispondere a delle domande in una specie di gioco che si chiama “the line game”. Se rispondono positivamente alla domanda devono avvicinarsi a una linea rossa tracciata sul pavimento e che divide i due gruppi.
Si comincia con il chiedere se hanno un album del rapper nero Snoop Dogg e poi se hanno visto il film “Strade violente”, se abitano in una casa popolare, se hanno un amico o parente in riformatorio o prigione, o se loro stessi sono stati in riformatorio, se conoscono qualcuno che fa parte di una gang o se loro stessi fanno parte di una gang, se hanno perso un amico in una scontro fra gang, o due amici o tre o quattro o più. A ogni domanda quasi tutti i ragazzi si avvicinano alla linea rossa e si guardano. Prima con aria di sfida, poi, piano piano sempre più con la coscienza di riconoscersi nell’altro, perché ha gli stessi problemi e vive le stesse esperienze. A quel punto qualcosa si rompe.
Il passo successivo di questo percorso di autocoscienza è il capire che al di fuori di quel microcosmo c’è dell’altro. Innanzitutto quelli che la storia ha discriminato: le vittime dell’olocausto. Studiare l’olocausto, andare al Museo della Tolleranza di Los Angeles, leggere il “Diario di Anna Frank”, incontrare la donna che ha aiutato sino all’ultimo la famiglia Frank, sono mezzi per aprire la propria mente ad altre storie, storie in cui ognuno di loro si può riconoscere, perché sono storie di reietti. Anzi certe storie sono ancora più crude della loro. E allora per arrivare alla completa autocoscienza occorre parlare di loro, della loro vita, delle loro esperienze. Ognuno è invitato a tenere liberamente un specie di diario, dove scrivere tutti i giorni. Una specie di autoanalisi. Alla fine, quando anche la scuola prende coscienza del percorso fatto dall’irriducibile insegnante, questi scritti entrano a far parte di un libro e l’esperienza della Room 203 diventa paradigmatica.
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Film da vedere. Film che parla della paura e del suo superamento, film che parla del cambiamento, della volontà di raggiungere un obiettivo combattendo contro la pigrizia mentale nostra e di chi vuole lasciare le cose come stanno.
La paura, sentimento umanissimo, ci ruba la vita. Ci blocca i movimenti, ci costringe a stare dietro le inferriate a scrutare veri o presunti nemici. La paura ci costringe a vivere una vita piena di ansia, di angosce notturne, di timori, ci mette dentro un recinto dove riconosciamo soltanto quelli del nostro clan, della nostra gang, del nostro ristretto ambiente. La paura più terribile è quella di veder violato questo recinto, la nostra stessa intimità, la nostra casa, luogo inviolabile per eccellenza.
Cosa possiamo fare per vincere questa paura? Chiedere un maggior presidio alle Forze dell’Ordine, chiedere agli Amministratori Pubblici maggiore impegno? Certo, è bene che lo chiediamo. Ma chiediamoci anche cosa possiamo fare noi.
Oltre alla prudenza e all’accortezza che dobbiamo sempre avere, dobbiamo vivere pienamente la nostra vita. Il che significa che dobbiamo vivere pienamente la nostra città e al Sindaco e ai nostri Pubblici Amministratori dobbiamo chiedere non di fare gli sceriffi con facce truci e fucile in mano, ma di fare di tutto perché noi possiamo vivere al meglio la nostra città.
A quelli che vogliono tenerci chiusi nelle nostre gabbie mentali dobbiamo dire NO!
Le nostre paure sono il loro successo, le nostre paure sono la loro affermazione. Si nutrono delle nostre paure, prosperano dei nostri timori. Non credete a quelli che dicono che questi non sono discorsi politici, perché lo sono, eccome! C’è una politica che alimenta odio e paura perché non ha altro da offrirci. La politica non è questo. La politica è quella che consente al cittadino di vivere appieno la propria vita in armonia con gli altri. Chiediamo momenti di incontro e di partecipazione. Forse ci accorgeremo, avvicinandoci a quella ideale linea rossa, che anche altri hanno gli stessi timori e le stesse paure e forse insieme riusciremo a superarli.
P.S. - Voglio ringraziare i ragazzi di Spazio Giovani e Informagiovani dell’opportunità che mi hanno dato di vedere il bel film di Richard LaGravenese. È stata anche per me l’occasione per uscire per un momento dalla mia gabbia.
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