Invece di spendere energie ad organizzare bandi per le eccellenze scolastiche ai soli italiani o niente (e spendere poi soldi in multe assurde).
Chiedete al vostro Sindaco/Senatore Mazzatorta di impegnarsi di più in parlamento sulle politiche giovanili piuttosto che su questioni salva premier.
E’ facile e sbrigativo definire i nostri giovani “bamboccioni”. Di giovani ce ne sono tanti che, finite le scuole superiori, lasciano casa in cerca di un lavoro. «Da noi i bamboccioni non esistono – afferma un’amica di Sassari – perché la stragrande maggioranza dei giovani deve per forza andare via dall’isola per costruirsi un futuro».
Certo non è cosi per tutti i nostri giovani, ma è l’altra faccia della medaglia di un’Italia nella quale i giovani non hanno vita facile e in alcune regioni ancor meno.
Le generazioni nate fra il 1974 e il 1994 hanno pagato il costo più alto della crisi economica in corso, sia a livello di occupazione che di retribuzione. A certificarlo, un organismo autorevole, l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) secondo cui in questo senso siamo tristemente al primo posto fra i trenta Paesi più avanzati del mondo, seguiti, a distanza, dalla Spagna. In pratica il 60 per cento dei precari sono nati dopo il 1974; infatti su un milione e 870 mila di non lavoratori, oltre un milione di persone ha meno di 34 anni.
È evidente: quello di una mancata autonomia economica è forse il fattore principale che impedisce a un giovane di lasciare la casa paterna. E non sarà un caso se da noi il 70 per cento dei giovani fino a 30 anni continua a vivere con mamma e papà mentre in Gran Bretagna la percentuale è del 28 per cento e in Svezia del 18 per cento. La sociologa Chiara Saraceno spiega: «Nel Nord Europa, dove le borse di studio vengono assegnate in modo più ampio e dove esiste un welfare per i giovani (sarebbe bene che il nostro governo pensi ad inserirlo nei suoi progetti), è considerato anomalo che un ragazzo resti in famiglia. E poi il mercato immobiliare: dove gli affitti sono accessibili ( sentito bene accessibili!!!!!) i giovani se ne vanno».
E se un altro fattore viene indicato nella durata degli studi che si prolungano fino a 25 e anche 30 anni, non si può escludere anche l’aspetto “culturale” della vicenda, ovvero come veniamo educati. Secondo una ricerca Istat il 44,8 per cento in famiglia «sta bene», mentre il 7,1 per cento dei maschi afferma di «non sentirsela» di vivere da solo a fronte del 4,9 per cento delle coetanee. E parallelamente il 56 per cento delle madri non ritiene necessario insegnare ai figli a cucinare (alla faccia delle femministe).Ma, per ultimo, vorrei rispondere anche al Ministro Brunetta che invita i maggiorenni ad uscire di casa. Ho ragione di pensare che forse non conta se si rimane o meno a casa, ma come si vive. Se uno non ha la possibilità di mantenersi del tutto, ma si dà da fare tanto per la gestione quotidiana che per l’aspetto economico, sarà più o meno bamboccione di uno che va a vivere fuori casa ma coi soldi di mamma e papà?
Forza Senatore un po’ più di impegno. Grazie
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