Quello che molti nel PD non riescono a capire è che questo partito non può essere la somma del PCI con una parte della vecchia DC o viceversa. Il PD nelle intenzioni di chi lo ha ideato doveva essere altra cosa. Doveva essere un partito nuovo che uscisse dai recinti identitari dei due vecchi partiti per aprirsi alla società, cioè a quei ceti produttivi cresciuti nell'era di internet, a quell’elettorato di opinione che chiedeva di innovare modi e contenuti della politica.
Per fare questo era necessario l'avvento di una nuova classe dirigente, la vecchia era dichiaratamente incapace di comprendere i mutamenti che stavano avvenendo nella società ancorata com’era a vecchi schemi novecenteschi.
Matteo Renzi, dopo le deludenti stagioni di Veltroni, Franceschini, Bersani ed Epifani, ha incarnato questa esigenza. Ha portato all’interno del PD una ventata di novità, rompendo schemi e liturgie che avevano fatto il loro tempo. Una rivoluzione che solo un leader giovane poteva fare e non per nulla la sua prima parola d’ordine è stata “rottamare”. Rottamare, ovverosia liquidare una classe dirigente vecchia e perdente, ma anche una politica vetusta.
Naturalmente tutto questo è stato mal digerito e le rivolte dei vari D’Alema, Bersani, Bassolino, sono gli ultimi sussulti di una classe politica che non riesce a capire che il momento di farsi da parte era ieri. Insistere in una cocciuta difesa delle retrovie serve solo a rendere la rotta ancora più dolorosa.
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