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mercoledì 21 giugno 2017

Le "faccie" della vecchia politica

OVVERO LA SINDROME DI SATURNO

Chi è affetto dalla sindrome di Saturno divora il tempo, lo mangia, lo congela, lo ferma perché non vuole essere sostituito dal Nuovo, dal Prossimo, dal Figlio. E così il portatore della sindrome costringe una fetta di vita a bloccarsi, silurando il futuro con la coccarda costantemente rammendata del passato. La sindrome di Saturno non permette a chi si affaccia dalla balaustra della vita, di essere e divenire”.
Francisco Goya - Saturno divora i suoi figli
Un paese del continuo ritorno al passato, un paese che non vuole cambiare, un paese che, nonostante le badilate del Pierino di Rignano, non vuole rinnovare la propria classe dirigente. Ecco l’Italia del 2017. Uscita trionfante dalla prova referendaria del 4 dicembre 2016, si è trovata presto impantanata in una fetida palude. La fine ingloriosa dell’Italicum e della blanda riforma Costituzionale ha fatto uscire da quel pantano i vecchi arnesi di sempre: famelici alligatori sempre alla ricerca di qualche tana dove acquattarsi. Adusi a galleggiare in tutte le putride acque della politica, si fanno avanti con ferina cautela, dichiarandosi disposti al sacrificio se l’Italia e gli italiani glielo dovessero chiedere. Ed ecco avanzarsi D’Alema che la politica la fa da quando aveva i calzoncini corti. Si considerava un innovatore negli anni ’80, salvo poi scoprire, salito il più alto scranno del potere, di essere l’innovatore del nulla. Affetto da manie saturnine come nessun altro, ha divorato uno dopo l’altro tutti i figli nati nel grembo della negletta sinistra italiana negli ultimi 30 anni. Dopo essersi fatto da parte volontariamente, ora sente l’urgenza di un nuovo impegno, certo, se i cittadini pugliesi glielo dovessero chiedere. State certi che glielo chiederanno, fossero anche soltanto quelli della sua cerchia.

D'Alema-Berlusconi-Bossi-De Mita
De Mita non è da meno e lasciate le carte del tressette e la poltrona di sindaco della sua amata Nusco, alla bella età di 89 anni parte, magari con il suo fido Pagliuca,  per scovare, ovunque essi si trovino, tutti democristiani d’Italia. il Paese chiama e il novello Don Quijote è pronto a montare il suo Ronzinante, sognando gli antichi splendori di una politica ormai morta e sepolta. I mulini a vento sono ancora lontani, ma l'hidalgo Ciriaco è già pronto alla tenzone.
Neppure Bossi, nonostante i problemi di salute, disdegna una sua nuova investitura. Quel Salvini non ha la stoffa del leader e quel che è peggio, è che per accaparrarsi una manciata di voti di qualche terrone, ha perso di vista il fine ultimo dell’impegno politico della Lega: l’indipendenza da questo Stato di ladroni, la secessione.
L’eterno è però Berlusconi. Per la sua ennesima discesa in campo sembra si sia inventato “L’albero della libertà". Il logo è già pronto: un frondoso albero con profonde radici e frutti succosi. Le radici sono i principi: libertà, democrazia, valori occidentali. I rami sono i problemi, i frutti le soluzioni. Insomma l’ennesima operazione di maquillage, di quelle che l’hanno reso un morto vivente, una mummia che non vuole saperne di mollare la presa, di lasciare ad altri la fatica e la gioia di proseguire il viaggio. E questo, nonostante la legge Severino, gli scandali di olgettine, papi e nipoti di Mubarak, i disastri governativi che hanno portato l'Italia al fallimento. 

L’Italia di oggi sembra sentire forte un desiderio di morte. Ma un Paese che guarda solo al passato, che non lascia andare via i morti, non vive, non ha speranza, non ha futuro.

giovedì 23 giugno 2016

Il peggiore

Massimo D’Alema, quando i suoi molteplici impegni glielo consentono, rilascia delle  memorabili interviste con le quali, come si diceva una volta, detta la linea. Nell’ultima, rilasciata ad Aldo Cazzullo del Corriere della Sera, imputa a Renzi di aver rottamato il PD.
Singolare che ciò venga detto da un personaggio universalmente conosciuto come “il risolutore”. Nel corso della sua lunga carriera infatti, ha fatto fuori in successione Occhetto, Prodi, Veltroni e qualche problema l’ha pure creato a Fassino e a Bersani. 
Singolare è non proferire una pur minima parola di autocritica. Se il PD è messo male certo la massima responsabilità è di Renzi che ne è il segretario, ma non si può certo dire che la minoranza non abbia le sue colpe. 

Quando giornalmente si segano le gambe del tavolo o si afferma che Renzi è un usurpatore, un alieno caduto dal cielo, un accidente, poi non si può pretendere che ci sia entusiasmo da parte dell’elettorato PD posto a sinistra.
Dire che il partito è stato rottamato da Renzi significa dimenticare cosa era il partito durante la segreteria Bersani: la vittoria “mutilata”, la rumorosa protesta della base quando a successore di Napolitano si scelse Marini, l’impallinamento di Prodi, la rielezione di Napolitano perché non si riusciva a trovare una persona che mettesse d’accordo tutti, il PD praticamente commissariato, la vergogna dell’incontro con Grillo in diretta streaming. Insomma un partito allo stremo.
E oggi si viene a dire che Renzi ha rottamato il partito? Il partito è stato rottamato da una sinistra autolesionista, la sinistra sempre perdente dei fuoriusciti Civati, Cofferati, Fassina, Mineo, D’Attorre, la sinistra di chi la lotta, feroce e sorda, l’ha portata all’interno del partito senza esclusione di colpi.
Se Renzi ha avuto praterie davanti, se alle primarie è stato votato da tanti che prima avevano votato Bersani, è perché la sinistra ha fallito, si è auto eliminata.
Oggi D’Alema si pone alla testa di coloro che si propongono di far fuori il Segretario. Non dall’esterno con la fondazione un nuovo partito, anche se ciò non è escluso, ma dall’interno con un’opposizione brutale.

La linea è chiara. Al referendum vincono i NO, Renzi come promesso si dimette da Presidente del Consiglio e da Segretario, il PD viene momentaneamente retto da un organo collegiale, la solita oligarchia di partito, si forma un nuovo governo perché  “servirebbe una nuova legge elettorale”, si va al voto. Nel frattempo il PD indice un nuovo congresso, si elegge un nuovo segretario, si vota una linea politica che dovrebbe avere come obiettivo la ricostituzione dell’Ulivo, un novello morto che parla, la sinistra finalmente si riappropria di una cosa che gli appartiene di diritto. La restaurazione è completata.
Peccato che questo percorso sia irto di ostacoli. Renzi si può anche dimettere da Presidente del Consiglio e da Segretario, ma nulla è possibile in questo parlamento senza l’accordo con il PD. E il gruppo parlamentare del PD, benché votato sotto Bersani, è in maggioranza renziano.
Pensa D’Alema che una volta fatto fuori Renzi, la strada gli sia spianata per realizzare i soliti inciuci tipici della prima Repubblica?
Il rischio è di trovarsi di fronte a macerie, un paesaggio desolato dove avranno la meglio le forze oltranziste del populismo e del massimalismo. Forse a quel punto D’Alema e compagni potranno fare la loro battaglia di opposizione contenti di valere  come il due di coppe quando la briscola è a bastoni.