giovedì 2 dicembre 2010

Morcelliana: un ripensamento è possibile

Nelle fondazioni c’è un patrimonio immobiliare sterminato”, talmente sterminato “che è meglio non saperlo, perchè in questo Comune abbiamo bisogno di tante cose e non abbiamo voluto mettere le mani nelle tasche dei cittadini...”.
Chiari - Istituto Morcelliano
Certo, il Sindaco non vuole mettere le mani nelle tasche dei cittadini, ma non ci penserà due volte se quelle stesse mani riuscirà a metterle sui “patrimoni” che i cittadini hanno costituito nel corso dei decenni.
Come detto varie volte su questo blog, questa Amministrazione ha venduto quasi tutto il patrimonio di proprietà del Comune. Ora, non avendo altri cespiti da vendere (l’area di via Ricci vedrete prima o poi riusciranno a svenderla) stanno indirizzando le loro mire allo “sterminato” patrimonio immobiliare delle Fondazioni. Se riusciranno a mettere le mani su questo prezioso tesoretto, allora tutti i problemi che affliggono questa Giunta e che derivano in gran parte dalla sua politica dissennata,  verranno di colpo risolti.
Hanno incominciato con la Saturno Corradini (Fondazione azzerata, patrimonio incamerato), ora vogliono proseguire con la Morcelliana.

Mons.Verzeletti e Don Boscaglia

L’operazione passa attraverso un accordo raggiunto con il Prevosto Mons. Rosario Verzeletti e con il Presidente della Fondazione don Alberto Boscaglia. L’accordo prevede una separazione consensuale che conferisce al Comune metà del patrimonio della Fondazione, a fronte della rinuncia da parte del Comune del suo rappresentante in seno alla Fondazione. Come ha detto il Sindaco in una recente seduta del Consiglio Comunale, il patrimonio deve finire “metà di qua e metà di là” .
Per fare questo si modificano  alcuni articoli dello Statuto, inserendo fra gli scopi istituzionali della Fondazione la formazione e l’istruzione dei minori e prevedendo la cessione, senza corrispettivo, di parte del patrimonio ad altri enti al fine di attuare le finalità statutarie.
Lasciamo stare per un momento le polemiche scaturite dall’azzaramento del vecchio CdA e dalla nomina di uno nuovo, più propenso a votare la nuova versione dello Statuto. Limitiamoci allo stato dell’arte.
Il sen.Sindaco Sandro Mazzatorta
Il Sindaco ha affermato di aver agito in perfetta sintonia con il parroco di Chiari, seguendo degli indirizzi che condividono. Poichè si tratta di operazione complessa e rilevante dal punto di vista economico, sono stati posti in essere “atti, con i crismi dell’ufficialità, con dietro studi legali che controllano la legittimità, con un controllo preventivo della Regione Lombardia, sentito anche l’organo che controlla queste modifiche statutarie...”
Ora, siccome tutto è stato fatto secondo i “crismi”, c’è da supporre che tutto sia stato fatto bene. D’altra parte perchè dubitarne? Anche il nostro Sindaco oltre che essere Senatore è anche avvocato, quindi per lui questo dovrebbe essere pane quotidiano.
Com’è che allora quell’insignificante art. 4 dello Statuto, ripreso pari pari dal nuovo, è passato inosservato? A nessuno della Giunta di Chiari o della Regione Lombardia o degli studi legali interpellati o della Parrocchia è venuto in mente di considerare e valutare  il significato dell’art. 4 dello Statuto? Peccato!
Perchè se l’avessero considerato e valutato avrebbero visto che il vecchio statuto (ma anche quello nuovo) stabilisce che “la Fondazione ritrae i mezzi necessari per l’esercizio della sua attività istituzionale dal reddito del proprio patrimonio immobiliare. Patrimonio immobiliare  “costituito da lasciti, donazioni ed eredità...destinati alla produzione di redditi da impegnare per il raggiungimento dei fini istituzionali”.
A questo si aggiungono “rette, tariffe e contributi versati da enti pubblici” e ogni altra “rendita o entrata, non destinata ad incremento patrimoniale, ma al funzionamento dell’attività”.
Mi pare che ce ne sia abbastanza per decretare che il raggiungimento dei fini istituzionali della Fondazione si attua attraverso l’utilizzo dei “redditi” prodotti dal patrimonio e non dalla cessione di tutto o parte di questo. Inserire in modo surrettizio nell’art. 3  la possibilità di cedere a terzi parte del patrimonio, contraddice alla radice questo concetto, cioè la necessità di mantenere integro il  patrimonio dell’ente, utilizzando per i fini istituzionali solo i redditi da esso derivanti.
Risulta del tutto evidente che esiste un contrasto insanabile fra la nuova formulazione dell’art. 3 e quanto previsto dall’art. 4 e a nulla servirebbe  un’eventuale modifica a posteriori dell’art. 4.  Se attuata, si configurerebbe una inaccettabile torsione dell’impianto normativo che regola la Fondazione sin dalle sue origini.
Chiari - Duomo e Torre civica
Un ripensamento è necessario.
Certo non ce lo possiamo aspettare dal nostro Sindaco, animato com’è dall’urgenza di reperire fondi per dare un senso alla sua disastrosa gestione della cosa pubblica.
Possiamo invece auspicare che all’interno del mondo cattolico si valutino approfonditamente le implicazioni che una decisione del genere può determinare per la nostra comunità. In particolare al nostro Parroco chiediamo sommessamente un supplemento di verifica; a lui che più di ogni altro conosce i bisogni dei nostri giovani e più di ogni altro può capire lo spirito che ha animato il suo predecessore, l’Abate Stefano Antonio Morcelli, quando quasi due secoli fa, ha deciso di istituire questo fondo per la tutela dei giovani in difficoltà.
Oggi a Chiari la Chiesa può aiutare la politica a essere più responsabile. E la prima responsabilità è quella della spesa. Non si aiuta a essere responsabili se si dà la possibilità di saccheggiare i patrimoni delle Fondazioni a proprio piacimento. Le scuole le avremmo potute mettere a posto se, invece di pensare a progetti tanto grandiosi quanto fallimentari, avessimo usato la diligenza del buon padre di famiglia. In politica occorre rigore e misura, mentre oggi vediamo una corte di affaristi che aspetta impaziente di partecipare al banchetto.
Fermiamoci, prima che sia troppo tardi!

Enzo Maragucci

5 commenti:

Anonimo ha detto...

“la Fondazione ritrae i mezzi necessari per l’esercizio della sua attività istituzionale dal reddito del proprio patrimonio immobiliare. Patrimonio immobiliare “costituito da lasciti, donazioni ed eredità...destinati alla produzione di redditi da impegnare per il raggiungimento dei fini istituzionali”. se avessimo usato la diligenza del buon padre di famiglia. In politica occorre.....

Certamente se le precedenti gestioni avessero usato la diligenza del buon padre di famiglia, avrebbero curato meglio gli interessi della fondazione, magari aggiornando i canoni di locazione al valore di mercato in modo che, con le giuste entrate e non i soliti favoritismi, si potesse risanare e restaurare l' immane patrimonio immobiliare che sta cadendo in rovina.
Troppo facile criticare solo, sempre e dopo.

Stefano Riccardi ha detto...

Veramente ben scritto e chiaro. Anche l'aspetto relativo all'articolo 4 dello Statuto è molto interessante...

Anonimo ha detto...

Ritorno a commentare l’argomento, scusandomi per aver dimenticato di firmare il precedente intervento del 30 novembre ore 19.51 e cercando di usare un tono meno sarcastico, ma ugualmente disincantato. Penso che oggi si dibatta sul destino di questa Fondazione, ex Conservatorio delle Pupille, ex Gineceo Mariano (in pratica un Orfanotrofio femminile, poi anche Scuola elementare e Asilo) con troppi anni di ritardo. Infatti si disquisisce sul destino dei patrimoni, sulle loro finalità originarie, sul rispetto delle tavole di fondazione, trascurando il fatto che da quasi cinquant’anni queste ente non svolge alcuna delle funzioni alle quali era destinato. A termini di legge (DPR 616/1977) questo ente si doveva già estinguere alla fine degli anni Settanta assieme all’E.C.A., che aveva incorporato le antiche Opere Pie, poi unificate nella Congregazione di Carità. Ancora dopo il Duemila (L.R. Lombardia n. 1/2003, art.6) si contemplava lo scioglimento nel caso di verificata inattività da almeno due anni. Invece fu tenuto in vita, come il Bettolini, dichiarando ufficialmente che svolgeva attività educativa confessionale, cioè il falso. Nel frattempo il Comune e Parrocchia hanno mai affrontato seriamente il problema di questa inadempienza, che dovrebbe far rivoltare nella tomba una schiera di benefattori: dal Ponti al Morcelli, da Giovanni Festa a Maria Cattapani-Armanni e, in ordine alfabetico, dai Bocchi agli Zani? Evidentemente no. Le IPAB, acriticamente tutte trasformate in Fondazioni, sono state prese in considerazione solo come canonicati – spesso “sine cura” - dove piazzare qualcuno che non trova spazio nelle competizioni elettorali. Si accendono i riflettori solo ora, quando si tratta ormai di spartirsi le appetitose spoglie. La storia di questi enti morali fu una storia benemerita di supplenza per “offrire e gestire direttamente” dei servizi sociali, che lo Stato ed i Comuni ancora non fornivano. Il loro destino non avrebbe dovuto ridursi ad operazioni immobiliari per poi fare l’affittacamere, come sta succedendo alle ex-IPAB clarensi, con le sole eccezioni della Casa di Riposo Cadeo e della Scuola dell’infanzia Mazzotti-Bergomi. Si invocano ripensamenti per poi continuare in questo modo? Sono spiacente, ma non condivido le tardive preoccupazioni di rispettare le volontà del Morcelli, i puntigliosi richiami agli statuti, gli appelli al mondo cattolico (che peraltro nella spartizione sinora vede la Parrocchia fare la parte del leone); anche se ciò purtroppo accade mentre Chiari è governata in modo talmente sciagurato che al Comune rimarranno, forse, le briciole.

Beppe Vavassori

Anonimo ha detto...

Grazie a Beppe per aver posto una domanda fondamentale : si invocano ripensamenti per continuare in questo modo?La mia risposta è che i ripensamenti sono possibili e necessari ma non per continuare in questo modo.Il dato storico correttamente richiamato circa la funzione di "supplenza" svolta da questi Enti, in assenza di Stato e Comuni sul versante dei servizi sociali, andrebbe a mio avviso aggiornato dando loro una funzione "sussidiaria" rispetto allo Stato ed ai Comuni,senza snaturarne le finalità.Tutto ciò però è possibile solo a condizione che il Comune svolga oggi un ruolo attivo (in sintonia con le esigenze attuali e future della comunità)e non di mero partecipante alla spartizione del bottino per tappare qualche buco di bilancio e rimanere senza risorse domani.Credo in buona sostanza che gli amministratori del bene pubblico una volta saliti sull'albero del potere debbano usare la loro posizione per guardare più in là e non per segare l'albero su cui provvisoriamente sono saliti,visto che l'albero non è il loro,ma dovrebbe essere destinato a crescere assieme alla comunità che l'ha piantato.Ma quì andiamo a parlare della buona politica dei pensieri lunghi e della cattiva politica....Carlo Fogliata

Anonimo ha detto...

Dei pensieri corti...